La pietà popolare e la munificenza dei committenti vollero ornare le chiese, anche quelle dei più piccoli centri, che il visitatore potrà scoprire nel corso di distensivi e piacevoli itinerari.
Il soggiorno di Giotto a Rimini fece nascere in questa città una scuola locale, così come era avvenuto in altri luoghi d’Italia. Ed è proprio dagli esponenti della scuola riminese che derivano alcune delle maggiori testimonianze della pittura gotica delle Marche, a Tolentino, a San Ginesio o a Serrapetrona.
Gli affreschi tolentinati del Cappellone di San Nicola, attribuiti a Pietro da Rimini, costituiscono un eccezionale ciclo che, per l’intensità della narrazione e la qualità della figurazione, costituisce la più vasta testimonianza della presenza dei riminesi nella Regione.
Non da meno, pur di minori dimensioni, è il ciclo conservato nella Chiesa di San Francesco a San Genesio e, significativo, l’unico affresco rimasto a Serrapetrona, anch’esso nella chiesa dedicata al Santo di Assisi. Poiché fino alla fine del ‘400. gli altari delle chiese erano ornati da grandiosi polittici ricchi delle elaborate cornici dorate e del loro vivace cromatismo, spesso, anche nei piccoli centri dell’entroterra è facile imbattersi in una di queste opere d’arte che emerge con i suoi ori dalla penombra delle antiche chiese.
Qui, come nel Fermano e nell’Ascolano, hanno operato, nella seconda metà del ‘400, due illustri artisti veneti, Carlo e Vittore Crivelli, noti soprattutto per la sontuosità delle vesti di stoffe preziose, per l’aristocratica eleganza delle figure e per l’abilità con cui riuscivano a caratterizzare le fisionomie e gli atteggiamenti di quelle, che altrimenti, sarebbero state monotone teorie di santi.
La chiesa collegiata o la pinacoteca, di Camporotondo a San Genesio, dimostrano come questo sia stato anche un luogo di transito e di lavoro di illustri artisti chiamati qui, dal vivo senso di religiosità della gente. E qui, per questo, sono familiari i nomi del Malpiedi, del Pomarancio, dello Zuccari, del Ghirlandaio, del Perugino, di Pietro Alemanno e di Stefano Folchetti che con maestria sono riusciti a fondere l’intensità della fede con la bellezza dell’arte.